Come molti altri fiumi alpini, anche il Ticino cela nelle sue sabbie minuscole particelle d’oro.
Pagliuzze dorate, nascoste tra le sue sabbie, hanno attirato cercatori e sognatori per millenni, trasformando questa attività in una vera e propria tradizione.
Già i Romani sfruttavano le risorse aurifere della regione, come testimoniano alcuni reperti archeologici.
Quella dei ‘Cavà òr’ è quindi un’attività antichissima sulle acque del Fiume Azzurro.
La ricerca sul fiume avviene utilizzando un’attrezzatura semplice: stivali di gomma e una ”batea” (la ‘padella’ del cercatore) che abbiamo visto in tanti film americani. Talvolta vengono impiegati anche setacci e una ”canalina”: lo scopo di ogni attrezzo è sempre quello di eliminare la ghiaia e i sedimenti.
Oggi l’oro è presente in forma di pagliuzze generalmente non più lunghe di un millimetro e la sua ricerca è un’attività faticosa nella provincia di Pavia.
Il principio sia per l’uno che per l’altro strumento di ricerca è sempre lo stesso: per l’elevato peso specifico l’oro rimane sul fondo durante i lavaggi mentre le sabbie più leggere sono man mano eliminate.
L’Associazione Cercatori d’Oro Valle Ticino Pavese, esperta conoscitrice del fiume, svolge ricerche e attività educative nelle scuole.
“Nel Ticino – ci spiega Luca Pasqualini – sin dai tempi dei Romani si trova l’oro. Oggi si possono trovare frammenti d’oro piatto da Bereguardo in sù verso Magenta. Nella zona invece di Golasecca anche qualche raro frammento più grande di 1,5 cm. Per le pepite bisogna invece spostarsi in Val D’Aosta…”.
La leggenda dell’oro nel Ticino
La leggenda più affascinante narra di due sepolcri reali, edificati nel letto del fiume, a ridosso del Ponte Coperto, come ultimo omaggio a un sovrano e alla sua consorte.
In particolare si favoleggia che dalla tomba della regina fossero fuoriusciti i suoi ori spargendosi nella sabbia del fiume.
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