La Statua della Lavandaia rappresenta uno dei simboli di Pavia.
Realizzata nel 1981 dallo scultore borghigiano Giovanni Scapolla, la statua rievoca i tempi in cui le sponde del Ticino si riempivano di donne che lavavano i panni nel fiume. Era un lavoro duro e faticoso, d’inverno venivano accesi fuochi per scaldarsi, i cosiddetti ‘fughon’.
Questo accadeva fino agli inizi degli anni ’70.
Abbiamo chiesto a Stefano Schinelli, Presidente dell’Associazione Culturale “MeiStòinBurgh“ di raccontarci quattro curiosità legate alla figura della lavandaia di Pavia.
1. Lo Scultore Giovanni Scapolla, nel realizzare la statua, prese ispirazione da sua madre, nota lavandaia chiamata ‘Sciura Teresina’ con la classica ‘caplina’ in testa.
2. Stefano ci parla anche dei nomi delle lavandaie, molto spesso legati a “caratteristiche” fisiche: la più famosa era l’Angiuleta, poi c’era la Marieta ‘dai pe tort’ (dai piedi storti), la Gianina ‘la culona’.
3. Le donne lavoravano tutto il giorno sulla riva. I panni venivano lasciati in ammollo tutta notte in enormi recipienti di cemento, poi portati in riva al fiume e lavati con l’aiuto della classica asse di legno, ‘a scägn’. Gli uomini e i bambini raccoglievano i panni e li riconsegnavano a tutta la città.
Era un lavoro molto faticoso e poco redditizio, una o due lire per capo. Le lavandaie più fortunate conquistavano i clienti più facoltosi, medici o avvocati pavesi.
4. Per passare il tempo, le lavandaie erano solite cantare. Una delle loro canzoni preferite era “La donna è mobile” del Rigoletto di Verdi. La canzone aveva subito uno scherzoso riadattamento: ‘La dona l’è UN MOBIL da met in sala, l’om l’è un asin da met in stala’ facendo riferimento al fatto che gli uomini giravano tutto il giorno, mentre le donne stavano ferme a lavare.
Nel settembre 2016 la statua della “lavandera” in borgo ha compiuto 35 anni, era stata infatti inaugurata il 6 settembre 1981.
Il Comitato “MeiStòinBurgh” organizzò una grande festa, ospiti d’eccezione due storiche lavandaie di 93 e 96 anni: Carla Scotti Migliavacca e Luisa Lanati Aradori, la testimonianza emblematica della pavesità.